I problemi del pianeta sono i nostri problemi: hanno conseguenze concrete sulla nostra salute.
Non a caso ogni anno le principali agenzie internazionali che si occupano di ambiente e di salute, insieme alle più importanti riviste scientifiche, mettono in evidenza la strettissima correlazione tra le malattie infettive e cronico degenerative (gruppo di malattie che riconosce nella propria genesi fattori di tipo ambientale e comportamentale; es: tumori, malattie cardiovascolari, alterazioni del metabolismo) e le alterazioni ambientali provocate dalle attività umane: cambiamenti climatici, inquinamento (in particolare atmosferico), peggioramento della qualità delle acque, aumento dei rifiuti, pericoli derivanti dalla chimica utilizzata in agricoltura.
Ognuno di noi, attraverso semplici azioni quotidiane, può ridurre il rischio di contrarre certe patologie e contribuire al contempo a migliorare la qualità dell’ambiente in cui vivono altre persone.
Ma queste buone pratiche, anche se molto utili e necessarie, non sono sufficienti.
I problemi ambientali hanno ormai dimensioni planetarie e richiedono interventi strutturali che non possiamo realizzare da soli.
Serve un cambio di paradigma deciso, per realizzare quell’economia circolare (economia pensata per potersi rigenerare da sola, un sistema economico pianificato per riutilizzare i materiali in successivi cicli produttivi, riducendo al massimo gli sprechi) di cui molti parlano, ma che richiede un’integrazione equilibrata e sostenibile con le produzioni degli ecosistemi naturali. Come ci ricorda Maria Grazia Petronio, curatrice e co-autrice del libro “Ambiente e Salute”, recentemente pubblicato da Aboca Edizioni.
Quello curato dalla Dott.ssa Petronio, Medico specialista in Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica e in Nefrologia e Presidente di Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) Pisa, è un volume fondamentale non solo per capire davvero e fino in fondo le tante e complesse implicazioni sanitarie legate alla crisi del clima e dell’atmosfera, ma anche per adottare opportunamente i giusti comportamenti preventivi, individuali e collettivi.
Troppo spesso, infatti, non abbiamo né conoscenza né consapevolezza dei rischi che si annidano nell’aria che respiriamo, nell’acqua che beviamo o nel cibo che mangiamo: elementi basilari per la nostra vita, ma che potrebbero avere effetti sul nostro organismo anche a decenni di distanza dall’esposizione.
Inquinamento atmosferico
È noto il nesso causale tra inquinamento atmosferico e molte malattie cardiache, vascolari e respiratorie, spesso concausa di una situazione di gravità nel contagio da COVID-19.
Ridurre l’inquinamento dell’aria e contrastare drasticamente il riscaldamento globale è dunque il primo, deciso passo da compiere per preservare la nostra salute.
Ogni anno a livello globale il solo particolato atmosferico è responsabile di un numero di decessi pari a circa sette milioni.
In Italia la mortalità prematura attribuibile a PM2.5 (il particolato atmosferico, che è uno dei più importanti inquinanti atmosferici, è una miscela di particelle solide e liquide in sospensione nell’aria. PM2.5 particolato atmosferico fine, identifica le particelle di diametro aerodinamico inferiore o uguale ai 2,5 µm), O3 (ozono, tra i più importanti inquinanti atmosferici) e NO2 (biossido di azoto, gli ossidi di azoto rientrano tra i più importanti inquinanti atmosferici) è stata stimata in più di 80.000 casi annui, senza considerare gli effetti di tutti gli altri inquinanti.
Le vittime sono principalmente anziani e soggetti vulnerabili, in quanto già affetti da una o più patologie croniche.
Alcuni studi hanno inoltre riportato un’associazione tra i livelli di particolato nell’aria e le malattie infettive (come l’influenza o la febbre emorragica con sindrome renale). Questo potrebbe essere dovuto al fatto che il PM inalabile può arrivare in profondità nel polmone, permettendo così al virus attaccato alle particelle di invadere direttamente le vie aree inferiori amplificando l’induzione delle infezioni.
L’inquinamento atmosferico comporta infine un incremento delle malattie degenerative, con conseguente indebolimento di tutta la popolazione che risulta assai meno idonea a difendersi da altre malattie più frequenti come quelle infettive.
Crisi del clima
I cambiamenti climatici agiscono direttamente e indirettamente nel determinare un’ampia varietà di malattie, favorendone di nuove e agendo come forza moltiplicatrice per molte delle problematiche già esistenti.
Le ondate di calore e di gelo hanno effetti diretti e impatti gravi sulle popolazioni potenzialmente più suscettibili.
Il freddo è associato a mortalità totale, cardiovascolare e respiratoria, incremento di accessi in Pronto Soccorso, ospedalizzazioni per asma e BPCO (Broncopneumopatia Cronica Ostruttiva), anche in età pediatrica.
Il caldo è associato a patologie cerebrovascolari, respiratorie, circolatorie, ischemiche del cuore, BPCO, aritmie, ridotta immunità locale, suscettibilità a virus respiratorie nei soggetti anziani, aumentato rischio di trombosi arteriosa.
Per quanto riguarda gli effetti indiretti del clima, basti pensare alle devastanti conseguenze che si potrebbero produrre nel caso in cui si verificasse un evento estremo – un’alluvione, un uragano, un incendio – nel mezzo di una piena fase epidemica; oppure a cosa accadrebbe se una lunga fase di siccità e contestualmente di grande fabbisogno di acqua ci colpisse in un periodo di emergenza (anche solo lavarsi le mani diventerebbe un problema).
Al riguardo, il WWF ha recentemente stimato che un aumento di temperatura di 2 °C in Europa innalzerebbe il numero di persone colpito da carenza di acqua dagli attuali 85 milioni a 295 milioni, soprattutto nei Paesi del Mediterraneo (Spagna, Grecia, Turchia, Cipro e ovviamente anche Italia).
Clima e malattie esotiche
La crisi climatica favorisce poi l’arrivo di malattie esotiche trasmissibili come dengue, Chikungunya, Zika, Febbre del Congo e Febbre del Nilo.
Già nel 2014 l’IPCC (Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico) ha diffuso una mappa del rischio di trasmissione di Chikungunya in Europa, generato dalla combinazione dei requisiti di temperatura idonei a questo virus e dall’idoneità del clima per il suo vettore: la zanzara Aedes Albopictus.
Nello specifico, l’indagine mostra come a partire dagli anni Sessanta l’Italia stia diventando sempre più adatta alla diffusione di questa malattia.
Secondo il Lancet Countdown (gruppo di ricerca che approfondisce le connessioni tra salute e cambiamenti climatici. Istituito nel 2012, formato da oltre 120 ricercatori), rispetto agli anni Cinquanta, nell’ultimo decennio si è registrato un forte incremento globale nella capacità delle zanzare A. Aegypti e A. Albopictus di trasmettere il virus della dengue: le proiezioni basate sui dati a disposizione permettono di ritenere ragionevole che questa tendenza sia in costante aumento, di pari passo con l’aumento delle emissioni di gas serra. Nel 2018 in Italia si sono registrati 536 casi di infezione da West Nile Virus con 35 morti (il maggior numero in Europa).
L’aumento della diffusione degli insetti vettori non è difficile da spiegare. All’aumentare della temperatura, il metabolismo degli insetti accelera. Bruciando quindi più energia, gli insetti consumano di più, si sviluppano più velocemente, muoiono di meno, si riproducono più velocemente e depongono più uova. Il risultato finale è la crescita delle popolazioni degli insetti stessi, nonostante paradossalmente si stia assistendo a un calo generale della biodiversità dell’entomofauna (il complesso degli insetti propri di un determinato ambiente o territorio).
Infine, a seguito del riscaldamento, gli insetti si spostano in nuovi territori ed esplorano nuovi habitat per trovare cibo e sfuggire alla competizione e ai nemici naturali, comparendo così in Paesi dove non erano mai stati prima.
Clima e malattie batteriche
Le alterazioni del clima e l’innalzamento del livello del mare sembrano favorire anche a malattie batteriche riemergenti. A questo proposito anche il colera viene considerato riemergente, in parte perché stanno comparendo infezioni in nuove comunità o in comunità in cui la malattia era assente da molti anni, e in altra perché si stanno ampliando le aree di endemicità (persistenza e diffusione di un fenomeno dannoso).
L’aumento delle infezioni da colera può essere dovuto a cambiamenti nell’ambiente o nel clima che promuovono condizioni favorevoli per i suoi patogeni (i Vibrio Cholerae 01 e il Vibrio Cholerae 0139), generalmente annidati nelle acque, soprattutto quelle salmastre presenti negli estuari (tipi di foce fluviale svasate ad imbuto, caratteristiche delle coste dei mari aperti e degli oceani), spesso ricchi di alghe e plancton.
Un’altra ipotesi molto attuale suggerisce che i focolai di colera siano correlati a fioriture di plancton (insieme di organismi acquatici, animali e vegetali che vivono sospesi, a galla o in seno alle acque, in balia delle onde o delle correnti e senza alcun rapporto con il fondo) associate agli sbalzi di temperatura che ne altererebbero la distribuzione latitudinale. In caso di innalzamento del livello del mare, come si prevede a causa del surriscaldamento, le aree interne subirebbero dunque una maggiore intrusione di acqua salata e un aumento dei livelli di batteri bastoncellari residenti degli estuari e degli ambienti marini, tra cui appunto i Vibrio Cholerae.
Anche deforestazione, antropizzazione (opera di trasformazione dell’ambiente naturale attuata dall’uomo per soddisfare le proprie esigenze e migliorare la qualità della vita, spesso però a scapito dell’equilibrio ecologico) e avvicinamento degli animali all’uomo creano un ambiente propizio allo sviluppo di malattie infettive, anche perché la mobilità umana ne aumenta la diffusione.
Secondo un recente report del WWF la distruzione degli habitat naturali provocata dall’uomo rompe gli equilibri ecologici e crea condizioni favorevoli per entrare in contatto con microbi e specie selvatiche che li ospitano. Una situazione, quella della condivisione dello spazio vitale tra uomini e animali selvatici, ulteriormente sostenuta dal graduale spostamento dei confini urbani sempre più a ridosso delle foreste.
La curatrice
Dottoressa Maria Grazia Petronio è medico specialista in Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica e in Nefrologia. È il direttore della UOC Igiene Sanità Pubblica dell’Azienda Usl Toscana Centro e Professoressa a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Igiene e Medicina preventiva dell’Università di Pisa. È membro della Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale VIA-VAS, istituita presso il Ministero dell’Ambiente e del territorio e del Mare. È Presidente di Associazione Medici per l’Ambiente (ISDE) Pisa e fa parte della Giunta Nazionale di ISDE.