FIBRILLAZIONE ATRIALE E RISCHIO ICTUS
L’Ictus (stroke nella dizione inglese) è, come si legge nelle Linee-guida SPREAD dedicate alla prevenzione ed al trattamento di questa grave patologia, l’improvvisa comparsa di segni o sintomi riferibili a deficit focale o globale (coma) delle funzioni cerebrali, di durata superiore alle 24 ore o ad esito infausto, non attribuibile ad altra causa apparente se non a vasculopatia cerebrale”. In effetti Ictus è un termine latino che letteralmente significa “colpo” in quanto la caratteristica principale di questa malattia è la sua insorgenza improvvisa in persone sane.
Nell’80% dei casi l’Ictus è ischemico (conseguente ad occlusione trombotica di un ramo arterioso);
nel 15-20% è legato ad emorragia cerebrale che vede coinvolti più spesso le donne di età media intorno ai 50 anni. Si tratta di un evento patologico di grande impatto sullo stato di salute della popolazione. Per averne un’idea, si consideri che in Italia l’Ictus, che colpisce con maggiore frequenza gli anziani ultra-65enni (i maschi più delle femmine), rappresenta la principale causa d’invalidità e la terza causa di morte (10%-12% di tutti i decessi per anno) dopo le malattie cardiovascolari e le neoplasie. Il 20-25% dei soggetti colpiti da Ictus muore entro un mese, il 30-40% entro un anno. Un terzo circa dei soggetti sopravvissuti ad un Ictus presenta, ad un anno dall’evento acuto, un grado di disabilità elevato, che li rende totalmente dipendenti.
Mentre l’ipertensione arteriosa ed il fumo rappresentano i principali fattori di rischio per l’Ictus emorragico, la Fibrillazione Atriale (FA) rappresenta la causa più comune di occlusione embolica arteriosa cerebrale da cui deriva un Ictus ischemico, come conseguenza della formazione di trombi all’interno degli atri fibrillanti e della loro successiva embolizzazione. I pazienti con FA hanno un rischio annuale medio di Ictus del 5% circa, con valori inferiori (0,5% circa) nei soggetti di età inferiore ai 60 anni senza altri fattori di rischio, o superiori (15% circa) in presenza di altri fattori di rischio quali età avanzata, scompenso cardiaco congestizio, dilatazione atriale sinistra, diabete, tireotossicosi.
Per comprendere meglio ciò che caratterizza la FA sul piano fisiopatologico, si consideri che in condizioni normali una minuscola struttura situata nell’atrio destro, il nodo seno-atriale, svolge le funzioni di pacemaker naturale e genera impulsi regolari e ritmici. Questi, diffondendosi a tutto il muscolo cardiaco grazie a vie di conduzione a ciò predisposte, determinano la regolare contrazione (sistole) di atri e ventricoli consentendo così al sangue di essere immesso in modo efficace a livello polmonare e nella circolazione sistemica. In queste condizioni si dice che il ritmo cardiaco è “sinusale”. Nella FA, invece, gli impulsi elettrici non vengono più generati nel solo nodo seno-atriale ma in molti punti differenti, in maniera totalmente caotica e con frequenza estremamente elevata, dando così origine a movimenti irregolari, disorganizzati, frammentari e quindi inefficaci. Tra le conseguenze di questo anomalo funzionamento muscolare, oltre ad una deficitaria azione di propulsione del sangue che aumenta la possibilità di scompenso cardiaco e riduzione globale della qualità di vita, vi è la formazione di trombi all’interno dell’atrio con conseguente possibilità di embolizzazione e quindi di Ictus ischemico.
Nel complesso, la FA aumenta di due volte il rischio di incorrere in un evento fatale (mortalità). In alcuni soggetti la FA compare in modo episodico, più o meno spesso, e scompare spontaneamente senza alcun trattamento; in altri casi per ripristinare il ritmo sinusale è necessario sottoporre il paziente ad un apposito trattamento a paziente sveglio con l’infusione di appositi farmaci antiaritmici o a paziente sotto anestesia con l’impiego del defibrillatore elettrico. In altri casi, infine, il paziente convive con una condizione di FA o perché i Medici curanti hanno stabilito la non opportunità di procedere alla terapia o perché dopo ripetuti tentativi di cardioversione farmacologica o elettrica la FA si ripresenta ed allora si imposta una terapia farmacologica il cui scopo è solo di rendere più tollerabile per il paziente la condizione di aritmia e migliorare per quanto possibile la dinamica complessiva cardiocircolatoria.
I fattori di rischio di “cronicizzazione” della FA sono l’età avanzata, la concomitanza di una ipertensione arteriosa e la presenza di patologie cardiache. Il problema è che la FA parossistica di durata superiore alle 48 ore, quella persistente e quella permanente presentano un rischio equivalente di fenomeni tromboembolici, a parità degli altri fattori di rischio tromboembolico. È per questo motivo che viene prescritta la terapia anticoagulante ai pazienti che, sulla base di un particolare “punteggio” (CHA2DS2VASc)1, vengano valutati ad elevato rischio di sviluppare una tromboembolia e che contemporaneamente non abbiano un rischio eccessivo di andare incontro a problemi emorragici. La terapia anticoagulante può essere effettuata con warfarin o con uno dei nuovi anticoagulanti orali, in modo continuativo compatibilmente alla presenza.