Il rapporto 2019 dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) calcola che in Italia nel 2018 siano stati prodotti 30,2 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (cioè quelli non industriali), con un incremento del 2,0% rispetto all’anno precedente.
Il loro smaltimento, oltre a rappresentare un problema di tipo organizzativo, ha anche importanti ricadute su ambiente e salute umana. D’altronde sono sotto gli occhi di tutti i disagi cui vanno incontro i cittadini quando i rifiuti si accumulano e danno vita a vere e proprie mini discariche: piccole e grandi aree urbane non solo insalubri e pericolose, ma anche brutte e disturbanti per via dei cattivi odori che, soprattutto nei mesi caldi, diventano insopportabili.
Fermo restando le principali responsabilità in capo alle istituzioni, per evitare che situazioni simili proliferino è fondamentale un’azione combinata e sinergica che veda protagonisti anche gli stessi cittadini e che abbia come riferimento la scala delle priorità dettata da tempo dall’Unione europea e ratificata anche dall’Italia, in qualità di stato membro.
Sono cinque i punti al centro di questa scala.
In ordine di priorità:
- Riduzione della produzione dei rifiuti
- Recupero di quanto sia recuperabile
- Riutilizzo delle cosiddette materie prime seconde
- Recupero di altra natura (come quello energetico)
- Conferimento in discarica, modalità che presenta i maggiori costi per i cittadini, oltre che rischi per ambiente e salute e spreco di materiali altrimenti riutilizzabili.
È chiaro dunque che seguendo questa sorta di vademecum la cosa migliore da fare per ovviare alla questione smaltimento rifiuti sarebbe non produrne affatto, così come la cosa peggiore è quella di perseverare nell’uso di inceneritori e discariche.
Perché dire no a inceneritori e discariche
Si tratta di due modalità purtroppo ancora assai diffuse nel nostro Paese, in contrasto da un lato con i principi base dell’economia circolare (entrambe non consentono il riutilizzo o il riciclo) e in grado dall’altro di alimentare danni, anche gravi, per ambiente e salute.
Inceneritori e discariche sono tra l’altro strettamente connessi fra loro. I primi, infatti, hanno bisogno delle cosiddette “discariche di servizio” per depositare le ceneri risultanti dal processo di combustione: una percentuale considerevole se pensiamo che rappresentano tra il 25,0 % e il 30,0 % dei rifiuti inceneriti.
È dunque paradossale che la pratica dell’incenerimento venga presentata comunemente come alternativa alle discariche, visto che in realtà la comprende e la integra addirittura. Questo, naturalmente, senza tenere conto dell’aspetto più criticabile – e pericoloso – di tale modalità: le emissioni nell’atmosfera, attraverso i camini, di numerosissime sostanze tossiche e gravemente nocive.
L’impatto su salute e ambiente degli inceneritori …
Il rilascio di sostanze inquinanti nell’aria è un problema concreto anche degli inceneritori di “ultima generazione” (la cui “avanguardia”, peraltro, risulterà obsoleta alla nascita di quelli di generazione successiva). Molte sono cancerogene: il particolato fine e ultrafine (le cosiddette micro e nano polveri), i metalli pesanti, gli ossidi di azoto e di zolfo, le diossine, gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Tali inquinanti si propagano a causa delle loro dimensioni submicroscopiche, per le quali non riescono ad essere trattenuti dai filtri industriali.
L’inquinamento atmosferico che ne deriva aumenta i rischi di malattie tumorali, cardio-circolatorie (ictus cerebrali, infarti del miocardio) respiratorie, etc.
Le dichiarazioni riguardanti presunti “impatti zero” di questi impianti o addirittura l’immaginifica e temeraria tesi che “purifichino l’aria” sono tutte affermazioni senza alcun fondamento tecnico e scientifico.
… e quello altrettanto pericoloso delle discariche
L’ultimo gradino della scala, nelle modalità di smaltimento dei rifiuti, è rappresentato dalle discariche. Ci si riferisce, ovviamente a quelle legali, non certo alle decine di migliaia di discariche illegali che pullulano nel nostro Paese. Ma discarica a norma non vuol dire a impatto zero, sia sull’ambiente che sulla salute delle popolazioni.
I rischi legati alla presenza delle discariche su un territorio riguardano le esalazioni che da esse emanano e che rendono disagevole, se non del tutto impossibile, abitare nelle loro adiacenze. C’è poi da considerare il rischio di inquinamento da percolato (per fissurazione delle pareti e/o del fondo della discarica, o per tracimazione) dei terreni circostanti e delle eventuali falde idriche presenti, con conseguente rischio di inquinamento delle catene alimentari, specie se queste discariche si trovano in ambiti agricoli o dedicati all’allevamento del bestiame.
Anche i mezzi di trasporto che conferiscono i rifiuti in discarica sono, a loro volta, fonti di inquinamento: da rumore (spesso il conferimento avviene nelle ore notturne o alle prime luci dell’alba), perdita di percolato e/o sollevamento di polveri e da gas di scarico degli automezzi.
Un rischio di natura biologica è infine rappresentato dal pullulare di microrganismi che possono essere veicolati a distanze imprevedibili da parte di agenti vettori (insetti, ratti, gabbiani). Gli studi scientifici, meno nutriti di quelli relativi a discariche per rifiuti pericolosi ma comunque numerosi, hanno evidenziato l’aumento di rischio per malattie tumorali e non tumorali e, nei nuovi nati, per malformazioni e basso peso alla nascita.
Come orientare dunque lo smaltimento dei rifiuti nel modo più adeguato, efficace, salubre ed economicamente vantaggioso per tutti?
Cosa possono fare lo Stato e le Amministrazioni locali
- Rispettare e incentivare la gerarchia dei rifiuti prevista dalla normativa comunitaria e statale.
- Legiferare in maniera coerente con tale gerarchia, partendo dall’abolizione dell’Art.35 del Decreto “Sblocca Italia”, che favorisce la pratica dell’incenerimento e disincentiva ogni iniziativa che utilizzi la combustione dei rifiuti, pericolosa per la salute e fonte di gas climalteranti.
- Prevedere, viceversa, agevolazioni fiscali e incentivi di avvio all’impresa per forme imprenditoriali finalizzate al recupero di materia.
- Disincentivare l’uso di prodotti usa e getta, favorire la riduzione degli imballaggi e promuovere prodotti che prevedano la massimizzazione del recupero dei materiali componenti, per ulteriore utilizzo.
- Sostenere la ricerca e lo sviluppo tecnologico finalizzati alla prevenzione dei rifiuti (come definita dalla Direttiva 2008/98/CE), alla riprogettazione industriale di oggetti non recuperabili/riciclabili/compostabili e al miglioramento continuo della filiera post-raccolta, finalizzata al recupero di materia (separazione, riuso, riciclaggio, compostaggio).
- Promuovere l’economia circolare con la creazione e la più ampia diffusione possibile delle filiere complete per il riutilizzo delle materie prime seconde.
- Prevedere campagne di informazione e formazione di cittadini e operatori, finalizzata a ridurre la produzione dei rifiuti e alla massimizzazione della raccolta differenziata spinta basata sul porta-a-porta.
- Incentivare economicamente le utenze domestiche e non domestiche concretamente impegnate nella riduzione della produzione dei rifiuti.
- Passare alla tariffazione puntuale (si paga in maniera proporzionale alla quantità di rifiuti indifferenziati conferiti) con agevolazioni fiscali per il compostaggio domestico.
Cosa possiamo fare noi cittadini
- Diminuire/eliminare gli sprechi alimentari con una migliore programmazione degli acquisti.
- Utilizzare una compostiera domestica per evitare di conferire gli scarti di cucina, che possono essere totalmente intercettati e diventare ottimo compost, funzionale e gratuito.
- Ridurre il più possibile la pulsione consumistica dell’usa e getta, a favore di beni durevoli e riparabili.
- Preferire prodotti “alla spina” (alimenti, detersivi, etc.) favorendone la diffusione con il passaparola.
- Effettuare “a monte” – cioè nella propria abitazione – una raccolta differenziata attenta e precisa.
- Fungere, nella propria comunità, da elemento di cambiamento virtuoso, rendendosi esempio e coinvolgendo i propri contatti sociali in azioni di cittadinanza attiva.
Articolo a cura di:
Dottor Ferdinando Laghi, Medico Internista ed Ematologo, Vice-Presidente ISDE Italia e Presidente ISDE International.